Il primo livello è il semplice impulso a raccontare una storia. Quali che siano i mezzi a disposizione. Come scrive Strehler “con le parole o con un pezzetto di legno o con i gesti…” Raccontare comunque. Per la gioia di farlo. Per il desiderio e la fiducia che sia possibile stabilire una comunicazione tra uomo e uomo. Per strappare un sorriso, o una lacrima. “ ‘sdruiàmo!” Costruiamo… con la fantasia. Un piccolo mondo. Il secondo livello è lo spunto offerto dall’episodio dei Mémoires. Carlo, Carletto Goldoni, fuggendo la noia della filosofia scolastica, si affaccia a questo mondo che sarà la sua vita intera, il Teatro. Una vita vissuta nel teatro, la sua.
Da quella barca Goldoni non scenderà mai più.
Le onde del mare, quella distanza che separa il ragazzino fantasioso dalla mamma, spingono al viaggio. E dunque alla scoperta della bellezza e della complessità del mondo.
Dunque il piccolo viaggio di quell’episodio delle memorie assurge a simbolo dell’intera esistenza dell’autore.
C’è un grande mare che noi tutti, piccoli e grandi, dobbiamo attraversare. E’ il mare dell’esistenza. Tutti abbiamo il nostro viaggio da compiere. In fondo andiamo tutti da “qui” a “là”.
Da Rimini a Venezia. Il viaggio è la nostra stessa vita.
Il nostro sparuto gruppo di comici dunque affronta il viaggio con gli strumenti del teatro, armati solo della loro immaginazione. Della capacità di trasformare la scarsità di mezzi in un’esca per la loro creatività.
Il nostro lavoro è stato diverso da quello di una “solita” messinscena.
Ho voluto sin dall’inizio che le circostanze concrete, produttive, della messinscena entrassero a far parte della struttura narrativa del racconto. Le nostre difficoltà nel mettere in scena un’episodio tanto corale –che difatti Strehler descrive nel suo copione come un meraviglioso affresco con più di venti attori in scena- diventano parte fondante del racconto.
In pochi, con pochi mezzi, è possibile fare il teatro. Almeno ci si deve provare, dando fondo alle nostre capacità di invenzione. I pochi oggetti che costituiscono tutta la nostra scena –oggetti di teatro, con una loro storia di vita vissuta sul palcoscenico- costituiscono l’esca per la nostra immaginazione e per quella del pubblico a creare gli spazi e le atmosfere necessarie alla storia.
Ci vogliono buoni compagni di viaggio. In questo modo anche quando saremo travolti dalle tempeste della vita, qualcosa di noi sopravviverà. Come atto d’amore e di dono di sé.
Stella si è poi imbarcata assieme a noi ed è stata una preziosissima collaboratrice grazie alla sua conoscenza dei materiali su cui si è poi sviluppato il lavoro.
Voglio naturalmente parlare anche del nostro piccolo gruppo di attori e allo stesso tempo dei loro personaggi. Abbiamo dedicato le prime due settimane di prova ad un lavoro di reciproca conoscenza. Attraverso esercizi teatrali sullo spazio e sul rapporto scenico. E ad un lavoro di esplorazione dei materiali e delle situazioni.
Le nostre scoperte di questo periodo, sullo spazio e sui personaggi, sono entrate direttamente nello spettacolo e ne costituiscono l’ossatura. Lo abbiamo scritto insieme, in qualche modo. Con loro e su di loro.
In questo possiamo dire che il nostro lavoro riproduce, in piccolissimo, alcuni procedimenti che lo stesso Goldoni descrive nelle Memorie circa il suo metodo di scrittura. Prima la storia, poi il canovaccio con solo alcune parti dialogate, e poi –solo dopo l’incontro con gli interpreti – il testo.
Rappresenta l’attrazione per il teatro, intesa come attrazione per la possibilità. Per il regno del possibile. Dove i limiti sono solo quelli della nostra fantasia. Dove è indispensabile accettare la sfida di trasformare i mezzi a disposizone –e dunque anche le difficoltà- in nuove opportunità
Florindo de’Macheroni. E’ Stefano Moretti.Capocomico guitto e generoso. Miserabile e poetico. Entusiasta del suo mestiere, della sua arte. Ma anche ben cosciente delle fatiche che essa comporta. E’ una sorta di aiutante magico, che attrae e ispira il giovane Goldoni. Grazie alle sue contraddizioni. Letterato e ignorante insieme, Florindo rappresenta il contatto umano, l’incontro con l’altro da noi. Per un certo divertimento scenico anche eccessivo, anche fine a se stesso. Stefano fornisce entrambi gli aspetti al personaggio di Florindo, è capace di parlare con profondità e competenza del teatro barocco e poi sbrodolarsi sulla scena con un divertimento e un’energia persino strabordante.
Clarice. E’ Alice Bachi.Di solito Clarice è l’innamorata. Ma nella nostra minuscola compagnia deve farsi carico di numerosissime mansioni. Deve recitare numerose parti, deve occuparsi del cibo, dei costumi, della navigazione. Troppo lavoro, a volte. Ma è lei a tenere unita la compagnia e a spingere i compagni al suo rinnovamento. Per Goldoni è il motore della storia. E’ l’attrazione per il femminile, naturalmente. Un femminile che si rivela a volte materno, magico, a volte misterioso. O persino spaventevole, inquietante. Una mamma che è lontana, di là del mare, da raggiungere. Ma anche una compagna di giochi spensierati e di vita. Alice, a mio parere, ha una speciale presenza, in scena e nella vita, che la rende capace di esplorare e mostrare questi aspetti diversi e contrastanti. Con la sua grazia e la sua serietà è stata un punto di riferimento per la compagnia della “Barca”.
Zorzetto. E’ Giorgio Minneci.Sulla Barca Zorzetto recita Arlecchino. Ma Zorzetto forse E’ Arlecchino. O al contrario Arlecchino è Zorzetto? Teatro puro, infantile, immediato. Compagno di giochi ideale, sempre pronto a fare da spalla al capocomico Florindo de’Maccheroni. Costituisce assieme a lui una coppia comica in senso classico.
Goldoni ha un rapporto molto particolare con questo personaggio. E’ il suo doppio. A volte un rivale, un’ostacolo alla sua riforma, un’ombra con la quale lottare, e allo stesso tempo il custode eterno del suo teatro. Arlecchino è presente nei momenti fondamentali dello spettacolo, perché ne fa parte e allo stesso tempo lo trascende. E Giorgio Minneci chi è? Zorzetto, cioè Arlecchino, naturalmente!
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