05 febbraio 2007

Dalle note di regia:
Lo spettacolo si struttura come un gioco teatrale, una fantasia a differenti livelli.
Il primo livello è il semplice impulso a raccontare una storia. Quali che siano i mezzi a disposizione. Come scrive Strehler “con le parole o con un pezzetto di legno o con i gesti…” Raccontare comunque. Per la gioia di farlo. Per il desiderio e la fiducia che sia possibile stabilire una comunicazione tra uomo e uomo. Per strappare un sorriso, o una lacrima. “ ‘sdruiàmo!” Costruiamo… con la fantasia. Un piccolo mondo. Il secondo livello è lo spunto offerto dall’episodio dei Mémoires. Carlo, Carletto Goldoni, fuggendo la noia della filosofia scolastica, si affaccia a questo mondo che sarà la sua vita intera, il Teatro. Una vita vissuta nel teatro, la sua.

Da quella barca Goldoni non scenderà mai più.

Le onde del mare, quella distanza che separa il ragazzino fantasioso dalla mamma, spingono al viaggio. E dunque alla scoperta della bellezza e della complessità del mondo.
Dunque il piccolo viaggio di quell’episodio delle memorie assurge a simbolo dell’intera esistenza dell’autore.

C’è un grande mare che noi tutti, piccoli e grandi, dobbiamo attraversare. E’ il mare dell’esistenza. Tutti abbiamo il nostro viaggio da compiere. In fondo andiamo tutti da “qui” a “là”.

Da Rimini a Venezia. Il viaggio è la nostra stessa vita.

Il nostro sparuto gruppo di comici dunque affronta il viaggio con gli strumenti del teatro, armati solo della loro immaginazione. Della capacità di trasformare la scarsità di mezzi in un’esca per la loro creatività.

Il nostro lavoro è stato diverso da quello di una “solita” messinscena.

Ho voluto sin dall’inizio che le circostanze concrete, produttive, della messinscena entrassero a far parte della struttura narrativa del racconto. Le nostre difficoltà nel mettere in scena un’episodio tanto corale –che difatti Strehler descrive nel suo copione come un meraviglioso affresco con più di venti attori in scena- diventano parte fondante del racconto.

In pochi, con pochi mezzi, è possibile fare il teatro. Almeno ci si deve provare, dando fondo alle nostre capacità di invenzione. I pochi oggetti che costituiscono tutta la nostra scena –oggetti di teatro, con una loro storia di vita vissuta sul palcoscenico- costituiscono l’esca per la nostra immaginazione e per quella del pubblico a creare gli spazi e le atmosfere necessarie alla storia.

I miei compagni di viaggio sulla “Barca”.

Ci vogliono buoni compagni di viaggio. In questo modo anche quando saremo travolti dalle tempeste della vita, qualcosa di noi sopravviverà. Come atto d’amore e di dono di sé.

In questo piccolo viaggio sulla “barca dei comici” ho avuto compagni davvero meravigliosi – difficile elencarli tutti-. Ne cito alcuni.

Insieme a Stella Casiraghi abbiamo preparato il viaggio, studiando le carte per la successiva navigazione. Il punto di partenza, oltre alle due paginette dei Mémoires, non era un copione perfettamente definito. Ma piuttosto un canovaccio con alcune parti scritte e altre no.

Stella si è poi imbarcata assieme a noi ed è stata una preziosissima collaboratrice grazie alla sua conoscenza dei materiali su cui si è poi sviluppato il lavoro.

Insieme a Fabrizio Montecchi, regista del Teatro Gioco Vita e scenografo della “Barca”, abbiamo giocato a sperimentare le diverse possibilità di trasformazione dello spazio offerte dall’utilizzo di elementi semplici. La nostra Barca è il frutto di una sorta di caccia al tesoro che si è svolta nei magazzini del Piccolo, alla ricerca di vecchi bauli e oggetti di scena. Da Fabrizio ho imparato molto sull’affascinante mondo delle ombre e di quanto questo mezzo espressivo –che lui padroneggia in maniera splendida- possa offrire alla creatività.

Luisa Spinatelli ci ha regalato dei costumi pieni di fascino e di storia, oltre al suo sorriso e all’incoraggiamento ogni volta che è venuta a trovarci nei giorni delle prove. La sensibilità e il gusto di Luisa –oltre alla sua immensa esperienza- ci hanno molto aiutato a graduare l’atmosfera settecentesca e la caratterizzazione dei personaggi.

Il lavoro di Marco Mojana sulle musiche di Fiorenzo Carpi è stato di un rigore e di un rispetto estremi. Perché nascono da una profonda conoscenza e da un amore vero per quello che è stato uno dei suoi maestri. E così anche le musiche di cui lui stesso è autore nello spettacolo ci hanno ispirato e divertito. La nostra collaborazione prosegue ormai da molti anni, ma ogni volta rivela piacevoli sorprese.

Il nostro tecnico tuttofare, Adriano Todeschini, si è occupato delle luci e della fonica. Ma a volte è stato suggeritore, attrezzista, perfino coreografo suggerendo agli attori una certa posizione.

E poi voglio ancora ricordare: Monia, assistente ai costumi, Sara e Nicoletta, assistenti alle scene e alle ombre, Federico, fonico del Piccolo, Robertina della sartoria del Piccolo, Franz, che ha suonato la sua tromba nelle musiche di scena.

Gli attori e i personaggi:

Voglio naturalmente parlare anche del nostro piccolo gruppo di attori e allo stesso tempo dei loro personaggi. Abbiamo dedicato le prime due settimane di prova ad un lavoro di reciproca conoscenza. Attraverso esercizi teatrali sullo spazio e sul rapporto scenico. E ad un lavoro di esplorazione dei materiali e delle situazioni.

Le nostre scoperte di questo periodo, sullo spazio e sui personaggi, sono entrate direttamente nello spettacolo e ne costituiscono l’ossatura. Lo abbiamo scritto insieme, in qualche modo. Con loro e su di loro.

In questo possiamo dire che il nostro lavoro riproduce, in piccolissimo, alcuni procedimenti che lo stesso Goldoni descrive nelle Memorie circa il suo metodo di scrittura. Prima la storia, poi il canovaccio con solo alcune parti dialogate, e poi –solo dopo l’incontro con gli interpreti – il testo.

Carlo Goldoni. E’ Tommaso Banfi. Il nostro Goldoni è un Goldoni senza età. Tutto è già avvenuto. Ma allo stesso tempo tutto – nel racconto che si fa messinscena – viene rivissuto, ricreato. Nell’episodio dei Mémoires Goldoni ha tredici anni. Ma noi sappiamo che lui scrive e riscrive le memorie in momenti diversi della sua vita. Dunque quel ragazzino è visto attravaerso gli occhi di un uomo maturo. Persino vicino alla morte, a volte. Ma non solo. Il tempo è una cosa strana, meravigliosa. L’infanzia non è certo un fatto anagrafico, ma uno sguardo sul mondo, una maniera di rapportarsi all’esistente. Chi, come Carlo Goldoni, è capace di ricreare continuamente la sua vita, fino all’ultimo istante, è eternamente giovane. Perchè rimane in contatto con l’intuizione del poeta, del fanciullo, che è capace di essere tutt’uno con i suoi personaggi, di frantumare se stesso in mille storie, caratteri, punti di vista. Creando continuamente un legame tra se e gli altri, attraverso la scrittura, la rappresentazione.

Rappresenta l’attrazione per il teatro, intesa come attrazione per la possibilità. Per il regno del possibile. Dove i limiti sono solo quelli della nostra fantasia. Dove è indispensabile accettare la sfida di trasformare i mezzi a disposizone –e dunque anche le difficoltà- in nuove opportunità

E’ questo lo sguardo sull’infanzia che ci interessava e io credo che questo sguardo speciale sia un dono che Tommaso ha ricevuto naturalmente e che ha messo a disposizione nel lavoro con grande generosità.

Florindo de’Macheroni. E’ Stefano Moretti.Capocomico guitto e generoso. Miserabile e poetico. Entusiasta del suo mestiere, della sua arte. Ma anche ben cosciente delle fatiche che essa comporta. E’ una sorta di aiutante magico, che attrae e ispira il giovane Goldoni. Grazie alle sue contraddizioni. Letterato e ignorante insieme, Florindo rappresenta il contatto umano, l’incontro con l’altro da noi. Per un certo divertimento scenico anche eccessivo, anche fine a se stesso. Stefano fornisce entrambi gli aspetti al personaggio di Florindo, è capace di parlare con profondità e competenza del teatro barocco e poi sbrodolarsi sulla scena con un divertimento e un’energia persino strabordante.

Clarice. E’ Alice Bachi.Di solito Clarice è l’innamorata. Ma nella nostra minuscola compagnia deve farsi carico di numerosissime mansioni. Deve recitare numerose parti, deve occuparsi del cibo, dei costumi, della navigazione. Troppo lavoro, a volte. Ma è lei a tenere unita la compagnia e a spingere i compagni al suo rinnovamento. Per Goldoni è il motore della storia. E’ l’attrazione per il femminile, naturalmente. Un femminile che si rivela a volte materno, magico, a volte misterioso. O persino spaventevole, inquietante. Una mamma che è lontana, di là del mare, da raggiungere. Ma anche una compagna di giochi spensierati e di vita. Alice, a mio parere, ha una speciale presenza, in scena e nella vita, che la rende capace di esplorare e mostrare questi aspetti diversi e contrastanti. Con la sua grazia e la sua serietà è stata un punto di riferimento per la compagnia della “Barca”.

Zorzetto. E’ Giorgio Minneci.Sulla Barca Zorzetto recita Arlecchino. Ma Zorzetto forse E’ Arlecchino. O al contrario Arlecchino è Zorzetto? Teatro puro, infantile, immediato. Compagno di giochi ideale, sempre pronto a fare da spalla al capocomico Florindo de’Maccheroni. Costituisce assieme a lui una coppia comica in senso classico.

Goldoni ha un rapporto molto particolare con questo personaggio. E’ il suo doppio. A volte un rivale, un’ostacolo alla sua riforma, un’ombra con la quale lottare, e allo stesso tempo il custode eterno del suo teatro. Arlecchino è presente nei momenti fondamentali dello spettacolo, perché ne fa parte e allo stesso tempo lo trascende. E Giorgio Minneci chi è? Zorzetto, cioè Arlecchino, naturalmente!

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 Post del primo luglio 2023. Il tempo passa. Olivia, che non era neppure un pensiero, ha già cinque anni.