26 luglio 2008

Ottanta anni fa nasceva Stanley Kubrik. Il più grande di tutti. Per ricordarlo - e per vincere tutte le malinconie di questa giornata(!) - mi rivedo "Orizzonti di gloria" e "Il dottor Stranamore". Il lavoro di Kubrik -ci penso per la prima volta in questo momento- mi ricorda quello di Strehler. Ogni suo film, come ogni spettacolo del mio maestro, può essere visto e rivisto mille volte, e rivelare sempre dettagli nuovi, nuove prospettive, come fosse costituito da infiniti strati sovrapposti. Infiniti livelli di lettura. Questa è caratteristica dell'arte. E' viva. Risuona insieme a te e continua a parlarti attraverso il tempo. Ogni film di Kubrik, così come ogni spettacolo di Strehler può essere visto e studiato come un manuale di regia.

"A volte la verità di una cosa non sta tanto nel pensiero di essa, quanto nel modo di sentirla".
Stanley Kubrik

21 luglio 2008

Ho ricevuto una bella lettera da Giovanni. La pubblico qui, col suo permesso. Mi pare un esempio molto bello di come a volte -senza averne piena consapevolezza- col nostro lavoro, con le nostre azioni, piantiamo dei semi nei cuori delle persone. Senza sapere che frutti daranno questi semi e neppure se e quando si manifesteranno. Causa ed effetto. Fantastico. Grazie a te Giovanni! Non sarà mica un caso che di cognome ti chiami Gioia!?!

Ciao Stefano,
mi chiamo Giovanni, sono un ragazzo napoletano.
Una sera dello scorso dicembre mi aggiravo per le strade di Budapest e la mia attenzione veniva catturata dell'insegna di un teatro ( da qualche anno mi sono trasferito a Milano e studio recitazione all'Accademia professionale del Centro teatro attivo perciò tutto ciò che sa di teatro mi cattura letteralmente). Uno striscione sormontava la strada "Napolyi kisertetek... E. de Filippo"...
Mi trovavo in un periodo abbastanza incasinato per motivi personali ma quella cosa mi toccò interiormente.
Era come se un pezzo di casa mia mi stesse vicino...
Ti scrivo questa mail per ringraziarti a nome della mia Napoli (quella bella).
Avrei voluto farlo prima ma solo oggi, per caso, sono capitato sul tuo profilo youtube e sono riuscito (sempre per caso) a risalire al tuo sito.
Ti saluto e ti auguro un felice successo di carriera.
Magari se passi da Milano con uno dei tuoi spettacoli avvisami che vengo ad assistevi in prima fila!

Un sincero grazie ancora...

Saluti

Giovanni Gioia

19 luglio 2008



-Perchè non ci uccidete subito e la fate finita?
-E che ne sarebbe dello spettacolo?

A proposito di violenza... Ho visto Funny games. Un film di Michael Haneke (quello de La pianista) con protagonisti Naomi Watts e Tim Roth. E mi è venuta voglia di scriverne una recensione. Almeno questa è fiction, non come a Bolzaneto.
Eccola qui. Attenti che svela i contenuti del film!

Due bei giovanotti abbigliati di bianco, educatissimi, con l’aria di essere appena usciti da un prestigioso college americano, si presentano alla porta di una bella casa sul lago. Con la scusa di chiedere delle uova. Tengono poi la famigliola in ostaggio nella loro stessa casa e la massacrano, dopo essersi divertiti (?) per 24 ore a torturarli fisicamente e psicologicamente. -Perché lo fate? Domandano i poveretti, tenuti a bada con una banalissima mazza da golf. E così noi spettatori , disperatamente alla ricerca di un senso. Senza ricevere risposta. Solo i sorrisi inquietanti dei due angioletti biondi. Vuota violenza? Noia esistenziale? Malattia mentale? Crudeltà gratuita? Niente di tutto questo.
I giochini sadici in cui i due si mostrano espertissimi sono in realtà una trappola tesa dal regista direttamente ai poveri spettatori che da subito si identificano di volta in volta con i tre componenti della famiglia e con i loro disperati tentativi di sottrarsi ai torturatori.

Ma un paio di inqudrature ci mettono in guardia e ci permettono prima di intuire e poi di svelare il sadico giochino.

Nella prima parte uno dei due giovanotti in bianco si rivolge alla camera da presa (e dunque direttamente agli spettatori). Era questo che volevate, no? Violenza. Suspence. L’attore rompe così per un attimo la quarta parete e, quasi brechtianamente, il realismo della rappresentazione filmica.
Ma poi l’azione riprende, violentissima e shoccante, e veniamo rituffati negli avvenimenti, totalmente identificati con i protagonisti. Aggrappati alle poltrone. Senza scampo.
Allora il vero giochino divertente del film -la trappola- è: scommettiamo che io –regista onnipotente- riesco a tenere voi spettatori inchiodati alle sedie, per quasi due ore, torturandovi a piacimento e spaventandovi a morte? E senza nessun tipo di giustificazione psicologica di nessun genere. Senza nemmeno una storia. Solo usando ad arte i mezzi del cinema di genere.
Un virtuosismo dunque. E pure dichiarato.
E noi cadiamo nella trappola, che è costruita magistralmente. Alternando la speranza in una possibile fuga a momenti di allucinante impotenza. E veniamo cucinati ben benino, come le vittime nel film. Prima il bambino – e qui si infrange anche un tabù, oltre che le uova dell'inizio– poi il marito, e per ultima la moglie (quella in cui spereremo fino all'ultimo) vengono piegati psicologicamente. Ridotti all’impotenza e poi uccisi. Così, con una facilità spaventosa.
L’altro momento in cui il regista gioca sporco –e allo stesso tempo ci offre un appiglio per sbrogliare la matassa- è quello in cui ci mostra addirittura un rewind dell’azione. Avviene così. La moglie riesce a raggiungere il fucile e –con gran gioia di noi spettatori – a scaricarlo addosso al torturatore più giovane. Finalmente, che gioia! Esultiamo noi vedendo l’aguzzino scaraventato contro il muro dalla forza del colpo, mentre una enorme chiazza di sangue si allarga sul suo petto.
E uno è andato! Si salveranno. Ci salveremo! E invece no. Rewind. Con il telecomando, semplicemente, l’altro angelo della morte riavvolge la pellicola di qualche minuto. Le immagini si muovono rapidamente al contrario, contro ogni logica apparente. Fino all’istante prima che la donna si impadronisca del fucile. E così il giovinotto in bianco glielo impedisce e la stende, con un calcione ben assestato. Non si scappa. E noi spettatori ci rendiamo conto di aver esultato per un’omicidio. Ecco un’altro shock e un'altra rottura del continuum della storia. Il regista ci dice: stiamo giocando. E io faccio e disfaccio le regole, a mio piacimento. Voi siete solo spettatori impotenti, potete solo subire. Io sono il padrone del tempo e degli avvenimenti. E per voi/loro non c’è alcuna speranza. Funny games.
Il film è costruito in maniera impeccabile e gli attori sono straordinari. Certo, senza afferrare il giochino nascosto gli spettatori rischiano una certa dose di frustrazione. E il giochino, in effetti, è ben nascosto. Direi persino rivolto a spettatori piuttosto smaliziati. E si nutre di una notevole quantità di citazioni, soprattutto dal cinema di Kubrick. Il bianco degli angelici violentatori richiama immediatamente i protagonisti di Arancia meccanica. Così pure la loro elegante "ultraviolenza”, come la morbosità di certe situazioni. Infatti anche senza arrivare al “dolce dolce su e giù”, tanto caro ad Alex in Arancia meccanica, la bellissma Naomi Watts riceve la sua buona dose di sevizie sessuali. Mentre la pallina da golf che, rotolando beffarda, annuncia il ritorno dei due è una citazione da Shining.
Che dire. Un bel giochino. Divertente. Terrorizzante. Funny games.

©Stefano de Luca

15 luglio 2008

"Allora Pinocchio, preso dalla disperazione, tornò di corsa in città e andò difilato in tribunale, per denunziare al giudice i due malandrini, che lo avevano derubato.

Il giudice era uno scimmione della razza dei Gorilla: un vecchio scimmione rispettabile per la sua grave età, per la sua barba bianca e specialmente per i suoi occhiali d'oro, senza vetri, che era costretto a portare continuamente, a motivo di una flussione d'occhi, che lo tormentava da parecchi anni.

Pinocchio, alla presenza del giudice, raccontò per filo e per segno l'iniqua frode, di cui era stato vittima; dette il nome, il cognome e i connotati dei malandrini, e finì col chiedere giustizia.

Il giudice lo ascoltò con molta benignità: prese vivissima parte al racconto: s'intenerì, si commosse: e quando il burattino non ebbe più nulla da dire, allungò la mano e suonò il campanello.

A quella scampanellata comparvero subito due can mastini vestiti da giandarmi.

Allora il giudice, accennando Pinocchio ai giandarmi, disse loro:

- Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d'oro: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione.

Il burattino, sentendosi dare questa sentenza fra capo e collo, rimase di princisbecco e voleva protestare: ma i giandarmi, a scanso di perditempi inutili, gli tapparono la bocca e lo condussero in gattabuia.

E lì v'ebbe a rimanere quattro mesi: quattro lunghissimi mesi: e vi sarebbe rimasto anche di più, se non si fosse dato un caso fortunatissimo. Perché bisogna sapere che il giovane Imperatore che regnava nella città di Acchiappa-citrulli, avendo riportato una gran vittoria contro i suoi nemici, ordinò grandi feste pubbliche, luminarie, fuochi artificiali, corse di barberi e velocipedi, e in segno di maggiore esultanza, volle che fossero aperte le carceri e mandati fuori tutti i malandrini.

- Se escono di prigione gli altri, voglio uscire anch'io, - disse Pinocchio al carceriere.

- Voi no, - rispose il carceriere, - perché voi non siete del bel numero...

- Domando scusa, - replicò Pinocchio, - sono un malandrino anch'io.

- In questo caso avete mille ragioni, - disse il carceriere; e levandosi il berretto rispettosamente e salutandolo, gli aprì le porte della prigione e lo lasciò scappare."

Benvenuti nel paese di Acchiappa-citrulli. E' arrivata, dopo soli sette anni (!), la sentenza per lo scempio di Bolzaneto. Non fu tortura. Nessuno farà un solo giorno di prigione. Certo, cos'altro ci si poteva aspettare? E' normale in questo paese senza vergogna. Un paese in cui non si può essere accusati di tortura perchè non esiste il reato di tortura! Paese offeso, violentato, in cui il capo del governo si scrive da solo le leggi per sfuggire ancora una volta a un processo in cui è accusato di reati comuni. In cui il presidente della Regione Abruzzo, una delle regioni italiane con il più alto debito nella sanità, viene arrestato insieme a mezza giunta con l'accusa di aver preso mazzette per circa 6 milioni di euro! Se colpevole, pagherà? Restituirà i soldi rubati? Non nel paese di Acchiappa-citrulli. Ridente gioioso paese in cui in gattabuia ci vanno solo i poveracci, come Pinocchio. "Spesso i teoremi accusatori sono infondati...", sghignazza quello. Certo. Vergogna. Vergogna. Vergogna.

Supportolegale

10 luglio 2008


"Ah, straziante meravigliosa bellezza del creato!"
A volte pare che la bellezza e la poesia debbano per forza diventare monnezza in questo nostro povero paese. Finire in una discarica. Eppure forse questo è necessario per accorgersi finalmente che, lassù, ci sono le nuvole...

Non ho tanta voglia di scrivere, ultimamente. E nemmeno di parlare...

02 luglio 2008

Umberto Eco ha inviato questa lettera a Furio Colombo, Paolo Flores d'Arcais, Pancho Pardi, promotori della manifestazione dell'8 luglio in Piazza Navona.

Cari Amici,
mentre esprimo la mia solidarietà per la vostra manifestazione, vorrei che essa servisse a ricordare a tutti due punti che si è sovente tentati di dimenticare:

1) Democrazia non significa che la maggioranza ha ragione. Significa che la maggioranza ha il diritto di governare.

2) Democrazia non significa pertanto che la minoranza ha torto. Significa che, mentre rispetta il governo della maggioranza, essa si esprime a voce alta ogni volta che pensa che la maggioranza abbia torto (o addirittura faccia cose contrarie alla legge, alla morale e ai principi stessi della democrazia), e deve farlo sempre e con la massima energia perché questo è il mandato che ha ricevuto dai cittadini. Quando la maggioranza sostiene di aver sempre ragione e la minoranza non osa reagire, allora è in pericolo la democrazia.

Umberto Eco

(2 luglio 2008)

 Post del primo luglio 2023. Il tempo passa. Olivia, che non era neppure un pensiero, ha già cinque anni.